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L’ambiente all’esame della crisi “Alla fine sarà un’opportunità”

13 de fevereiro de 2009 - Por Comunità Italiana

{mosimage}Bisogno di cambiare, ma minori investimenti; meno emissioni, ma con il petrolio a buon mercato. Il parere degli esperti su come la recessione potrebbe incidere sul futuro del Pianeta

 

ROMA – Terry Barker, il direttore del Centro per la ricerca della mitigazione dei cambiamenti climatici dell'Università di Cambridge, ha azzardato un pronostico molto impegnativo: "In occasione della Grande Depressione, tra il 1929 e il 1932, le emissioni di anidride carbonica sono crollate del 35 per cento. A mio avviso esiste la possibilità che entro il 2012 il calo sarà ancora più vistoso, tutti gli indicatori stanno precipitando". E' un po' come sostenere che il problema del riscaldamento globale è praticamente risolto, visto che in appena due anni sarebbe stata ottenuta quasi la metà dell'ambizioso obiettivo fissato da Obama per il 2050 (-80%) e quasi raddoppiato quello del -20% previsto dall'Unione Europea per il 2020.

Tutto risolto, dunque? Non esattamente, perché altri esperti fanno notare che la crisi ridurrà drasticamente i fondi necessari a riconvertire l'economia verso il traguardo delle "emissioni zero", e quando i paesi del G20 saranno fuori dal tunnel della recessione la produzione di gas serra schizzerà nuovamente alle stelle in un battibaleno, vanificando in pochissimo tempo i benefici dello stop.

Questa ambiguità è solo una delle tante che la crisi economica intreccia con le politiche ambientali. I fattori per cui il rallentamento può rappresentare una svolta positiva sono molti, ma altrettante sono le possibili minacce. Crisi economica significa meno emissioni, necessità (o quanto meno possibilità) di rivedere il modello di sviluppo seguito sin qui. Non è un caso se mai come in questo momento si parla ovunque (tranne che in Italia, purtroppo) di New Deal Verde. Ma crisi economica significa allo stesso modo far retrocedere l'ambiente nell'agenda delle priorità rispetto a problemi più urgenti come l'occupazione, avere a disposizione meno risorse da investire in ricerca e innovazione tecnologica e significa, infine, prezzo del petrolio in caduta libera, il che rende meno conveniente pratiche virtuose come l'efficienza e il risparmio energetico.


Le variabili e le possibili risposte della politica a questo scenario sono moltissime e capire quali di questi aspetti alla fine sarà più importante è molto difficile. Un gruppo di "addetti ai lavori" di prima qualità ha provato comunque a sbilanciarsi in una previsione per Repubblica.it.


Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed ex consulente del ministro Pierluigi Bersani.

Credo che il saldo finale della crisi sarà positivo in termini di opportunità ambientali, ma che l'entità di questo saldo dipenderà dalle politiche che verranno adottate. Tutto fa pensare che gli Usa, spingendo sulla trasformazione della produzione di automobili verso modelli a basso consumo e destinando 50-100 miliardi di dollari alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e alle rinnovabili, si stiano attrezzando per una incisiva ed efficace fuoriuscita "ecologica" della crisi. In parallelo, gli investimenti sugli scisti bituminosi e sul nucleare subiranno invece un rallentamento.


Giappone e Corea del Sud hanno analogamente lanciato dei pacchetti di stimolo marcati come "Green new deals" e la Cina intende spendere larga parte dei 586 miliardi di dollari in progetti legati all'energia e all'ambiente. L'Europa è sulla stessa strada, forte anche degli ottimi risultati che alcuni paesi, come la Germania e la Spagna hanno ottenuto in termini di nuove industrie ed occupazione nel campo delle rinnovabili e dell'efficienza energetica. Segnali contraddittori e per certi versi sbagliati vengono invece dall'Italia.

 

Gianfranco Bologna, Direttore scientifico del Wwf Italia.

Credo che la crisi farà diminuire l'impronta ecologica in maniera sensibile in una fase in cui eravamo di fronte a una evidente recessione ambientale, con le capacità del Pianeta di assimilare e rigenerare il nostro sviluppo decisamente superate. E' una crisi annunciata da chi, come il Club di Roma, la temeva da anni, venendo molto spesso dileggiato da personaggi, come il ministro Tremonti, che hanno scoperto solo ora queste tematiche. Nessuno si augurava però di arrivare a questo punto e nessuno pensava che l'uomo, essendo sapiens, dovesse passare attraverso questa situazione per capire le solide basi scientifiche dei limiti dello sviluppo. Questa crisi ora ci pone la possibilità di vedere la questione ambientale e di affrontarla in maniera positiva. Le scelte di Obama vanno in questa direzione anche per gli uomini straordinari di cui si è circondato. Ha dato spazio alla cultura scientifica mostrando di aver capito quali sono le opportunità della ripresa. Per ora ci sta indicando una strada di svolta molto interessante. Chi si posiziona per primo è favorito, ma da noi si fa un catenaccio difensivo e perdente. Tutto sommato non direi che la crisi "fa bene", ma più modestamente che rappresenta più un'opportunità che non un pericolo.


Marzio Galeotti, docente di Economia ambientale all'Università di Milano e redattore della Voce.info

E' molto difficile fare una previsione, le variabili sono molte e francamente non sono in grado di dare una risposta certa. La mia impressione è che nel complesso la crisi rappresenta un'opportunità, che però va colta mostrando coraggio e capacità d'innovazione e cambiamento, come sembra abbia capito Obama. Non credo però che puntare su rinnovabili ed efficienza energetica sia sufficiente a tirarci fuori dalla crisi. Sicuramente è un'occasione per una importante e profonda riforma. La crisi darà sicuramente una botta positiva alle emissioni di gas climalteranti, ma se nel frattempo non si introducono cambiamenti rischia di essere un sollievo provvisorio.


Maurizio Pallante, animatore del Movimento italiano per la decrescita e ex consulente del ministro Pecoraro Scanio.

Ritengo che la recessione porterà a superare la follia indotta nei paesi occidentali da sessant'anni di sovrabbondanza di petrolio a basso prezzo e ad adottare comportamenti individuali e stili di vita più responsabili nei confronti degli ambienti: meno spreco di risorse e meno emissioni. Ma ritengo che apra anche grandi prospettive per investimenti e sviluppo di settori industriali che producono, commercializzano, installano e fanno la manutenzione di tecnologie che accrescono l'efficienza nell'uso delle risorse: dalla coibentazione degli edifici alla produzione di macchinari ed elettrodomestici più efficienti, dal recupero delle materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi allo sviluppo di forme di mobilità più veloci e meno inquinanti (mezzi pubblici collettivi e mezzi pubblici a uso privato a domanda alimentati elettricamente a rete). E' compito della politica indirizzare in questi settori la ricerca e gli investimenti, ma non è detto che ci riesca o voglia farlo, perché le pressioni delle lobby industriali esistenti (automobile ed edilizia) sono molto forti. Se questa ipotesi si realizzasse, si potrebbe avviare un nuovo ciclo economico virtuoso basato sulla riduzione dei consumi di materie prime e di energia a parità di produzione.


Roberto Della Seta, senatore Pd e ex leader di Legambiente.

Non direi che la crisi è un bene perché non sono un fan della decrescita. Se la decrescita fosse una soluzione noi ambientalisti staremmo vincendo e Berlusconi sarebbe un nostro eroe, visto che ogni volta che va al governo il Pil diminuisce. Non credo che sia un bene perché in tempi di recessione c'è il rischio che la distribuzione delle risorse verso la tutela dell'ambiente e le politiche ambientali in genere finiscano per essere penalizzate.


Tutto sommato penso però che sarà un'opportunità positiva, anche se a un prezzo (più povertà, più disoccupazione) che non avrei mai voluto pagare. Sono ottimista perché le elite (parlo del mondo, non certo dell'Italia) hanno reagito meglio di quanto si potesse sperare, soprattutto se teniamo conto che il rischio di risposte difensive, per esempio lo stop al 20-20-20 è stato forte e reale. La tentazione a mettere da parte il problema ambientale però rimane e la partita non è decisa. La percezione che bisogna orientare i consumi in maniera diversa ora però esiste.


Arturo Lorenzoni, Direttore di Ricerca presso l'Istituto di Economia e Politica dell'Energia e dell'Ambiente dell'Università Bocconi di Milano.

Gli effetti della crisi sul settore sono funzione delle politiche che andiamo ad avviare. Sta a noi decidere se amplificare la spirale negativa della crisi del manifatturiero o se dare una risposta forte a partire dalla domanda obbligata di sostenibilità nel settore energetico. Per questo in fondo ritengo sia un'opportunità: la discesa dei tassi avvantaggia gli investimenti ad alta intensità di capitale; i problemi del settore auto favoriscono interventi mirati a soluzioni innovative (non incentivi a pioggia, ma sostegno a soluzioni efficienti, come le auto a bassi consumi, le ibride, le elettriche); l'edilizia può riprendersi se punta sulla qualità di materiali e impianti. Le scelte americane possono veramente stravolgere i mercati. Se si confermano i target altissimi a breve termine (raddoppio delle rinnovabili Usa in tre anni), ad esempio tutta la produzione dell'est di moduli fotovoltaici, che ora sono venduti sottocosto in Europa, riprende la via degli Stati Uniti, con una ripresa degli investimenti e un sostegno ai prezzi (buono per l'industria, meno per i consumatori). Ma gli esempi possono essere molti.

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