{mosimage}Ogni anno il Demanio riscuote solo un terzo degli affitti Versilia e Liguria, spiagge costose ma solo per i bagnanti
Così, nonostante gli adeguamenti ai canoni introdotti con la Finanziaria del 2007, il piatto, cioè le casse pubbliche, piange. Secondo i dati dell’Agenzia del Demanio nel 2008 su 280 milioni da riscuotere, lo Stato è riuscito a incassarne appena 103 milioni. Poco più di un terzo. E gli altri dove sono finiti? Sono rimasti nelle tasche dei titolari delle concessioni. E risulta difficile riuscire a farglieli tirare fuori. Anche per il 2009 le previsioni sono nere: il Demanio teme di non riuscire a incassare nemmeno la metà di quanto dovrebbe. E proprio domani Maurizio Prato, direttore del Demanio, andrà al Senato per sollecitare interventi legislativi per mettere ordine. Le competenze infatti sono frammentate, in alcuni casi la gestione delle concessioni è delegata alle Regioni, in altri ai Comuni. A volte nei piccoli centri i funzionari gestiscono in maniera discrezionale tutto ciò che riguarda le concessioni. E manca un coordinamento centrale. Risultato: ci sono stabilimenti che non pagano la concessione e fanno finta di niente, «tanto nessuno controlla». Altri che hanno deciso di continuare a pagare il vecchio canone perché ritengono gli aumenti ingiusti e hanno deciso di farsi lo sconto da soli. Altri ancora invece hanno presentato ricorsi in varie sedi contro gli aumenti. E per adesso fanno orecchie da mercante alle richieste del Demanio. Poi ci sono anche quelli che pagano la concessione, ma molti poi la fanno fruttare più del dovuto con qualche piccola furbizia: utilizzano senza specifiche autorizzazioni arenili e spiagge anche come discoteche, centri sportivi, addirittura come beauty farm a cinque stelle, facendo decollare gli incassi. E come accertato dai controlli a campione della Guardia di Finanza, gli stabilimenti balneari sono spesso terreno fertile per lavoro nero o comunque irregolare e evasione fiscale. E se il fatturato complessivo dichiarato è stimato intorno ai 2 miliardi, secondo l’Agenzia delle entrate ci sarebbe almeno un altro miliardo di giro d’affari sommerso.
I ministri che negli anni hanno cercato di regolamentare e mettere a frutto il patrimonio balneare, e cioè prima Vincenzo Visco per il centrosinistra e poi Giulio Tremonti per il centrodestra, hanno dovuto fare i conti con la lobby dei titolari degli stabilimenti balneari, che per anni è riuscita a respingere qualsiasi tentativo di nuova regolamentazione del settore. Solo nel 2007 gli stabilimenti hanno finito per accettare, obtorto collo, gli adeguamenti dei canoni. Ma il settore resta una jungla. Ci sono Comuni, come Roma, dove le concessioni sono state rilasciate anche per una durata di 25 anni. E senza aprire i bandi a nuovi operatori: vengono passate di padre in figlio, come se fossero beni di famiglia, anziché patrimonio pubblico. Addirittura c’è un mercato: le concessioni non possono essere vendute, ma i titolari cedono direttamente le società a cui è intestata l’autorizzazione. Un modo per aggirare, legalmente, la legge. Ma in forte odore di speculazione. A Fregene, alle porte della Capitale, un imprenditore che pagava 1400 euro al mese per uno stabilimento che in un solo in week end incassa migliaia di euro ha ceduto l’attività per 2 milioni di euro. E casi analoghi sono stati segnalati in Romagna, Toscana e Abruzzo.
Inoltre, le spiagge per legge dovrebbero essere classificate per fasce qualitative e i canoni parametrati con importi più alti per i lidi migliori e più bassi per gli altri. Secondo le stime delle Capitanerie di porto, nelle fasce più basse rientrerebbero meno del 25% delle spiagge. E invece oltre il 90% è finito fra i lidi per i quali i canoni sono minimi. Poco importa poi se i clienti arrivino a pagare per un ombrellone e due sdraio anche 30 euro al giorno in questi stabilimenti che sarebbero «popolari», ma hanno prezzi da capogiro. «È una vergogna nazionale», dice Angelo Bonelli, ex capogruppo dei Verdi alla Camera che da anni raccoglie e studia il problema delle concessioni demaniali marittime. E aggiunge: «Non c’è esempio in Europa e nel mondo di una gestione colabrodo del patrimonio marittimo come in Italia che ha portato inoltre a un processo di privatizzazione delle spiagge. Di fronte a canoni per le concessioni così ridicoli anche di 300 euro al mese con fatturati milionari, vediamo da un lato lo Stato che perde centinaia e centinaia di milioni di euro, e dall’altro che il godimento delle spiagge da parte dei cittadini si trasforma in un problema sociale, per l’imposizione illegale del pagamento di un biglietto per l’ingresso». E del resto c’è anche una controprova dello spreco di denaro pubblico. A Aci Castello, in Sicilia, il Demanio ha preso direttamente in gestione lo stabilimento del Lido dei Ciclopi, confiscato alla mafia: nel 2008 l’incasso ha superato i 640 mila euro, con oltre 130 mila euro di utili. Il business, per chi lo sa sfruttare, vale.
Fonte: www.corriere.it