Quando sarà rientrata l’emergenza coronavirus dovremo riabituarci a tante cose che in questo periodo di reclusione nelle nostre case abbiamo dimenticato o trascurato. Fare esercizio fisico, magari in palestra, socializzare in un luogo frequentato da altre persone, o ancora fare shopping in un negozio. Oppure tornare a frequentare un bar, o un ristorante. E magari un cinema.
Ma quanto ci vorrà prima di poter ritornare alla «normalità», se così si può definire? Secondo Mauro Ferraresi, professore di sociologia della comunicazione all’Università Iulm di Milano, il tempo del coronavirus produrrà un tempo di riadattamento – una volta superato il picco – di almeno cinque volte tanto.
Per fare un esempio pratico: se avremo tre mesi di lockdown, così viene definita la chiusura di attività e l’isolamento in casa, bisognerà moltiplicare quel tempo per cinque volte per poter ottenere una stima di quando la situazione tornerà (il più possibile) come prima. Ma ci saranno cose che cambieranno per sempre, dice il docente.
La shut-in economy
“Dopo gli attacchi terroristici abbiamo preso l’abitudine a subire alcuni controlli negli aeroporti; dopo il coronavirus ci saranno nuove “restrizioni”, se così possiamo chiamarle, come il controllo della temperatura corporea o di altri parametri vitali, che secondo me partirà senz’altro”, spiega Ferraresi. E lo stesso verrà applicato in tutti quei luoghi in cui ci sarà il pericolo di assembramenti e in cui le persone si incrociano durante un viaggio, come le stazioni ferroviarie. Pratiche che necessiteranno di un vademecum e di una serie di regole di prevenzione che dovranno essere messe a punto prima che il lockdown termini.
La nuova vita sociale (dopo il virus) al chiuso
Che dire della vita sociale? Secondo uno studio del Mit il coronavirus non porterà a un cambiamento temporaneo dello stile di vita di ciascuno di noi, ma darà vita a un nuovo modo di vivere e relazionarsi.
Sulla base dei numeri di un’analisi dell’Imperial College di Londra, infatti, i ricercatori hanno ipotizzato che qualora dovessimo ritornare alla vita precedente alla pandemia , le possibilità che si riproponga una nuova crisi legata al coronavirus sono alte, considerando le tempistiche: tra lockdown e ripresa si dovrebbe arrivare al prossimo inverno, quando i rischi di un ritorno del Covid-19 sono elevati.
Probabilmente avremo bisogno di sviluppare quella che il team del Mit chiama «shut-in-economy» ossia l’economia al chiuso.
Le palestre, per esempio, potrebbero iniziare a vendere pacchetti online per l’allenamento, oppure attrezzature da tenere in casa e il lavoro continuerà a prediligere forme in remoto.
Che dire poi di bar e ristoranti, locali che vivono di socialità e di un gran numero di persone? Potrà essere limitato il numero di clienti che vi accedono, magari mantenendo una distanza maggiore tra i tavoli o sul bancone, e le file per entrare dovranno essere ordinate, e ben distanziate, proprio come accade ora per entrare al supermercato o in farmacia.
La prevenzione
In ogni caso, questi saranno gli ultimi locali a riaprire, proprio per la loro natura legata alla vita sociale, e magari modificheranno anche in un primo momento i loro servizi, favorendo il servizio a domicilio. Ma questo stile di vita non è sostenibile a lungo, e quindi sarà necessario un cambio di passo, che contemplerà la prevenzione. «Potrebbero crescere così abitudini che spingono di più all’isolamento sociale, ma oltre alla shut-in-economy – spiega il professor Ferraresi – ci sarà un processo di ritorno alla normalità graduale, come ci insegna la Cina». E quindi fabbriche, negozi, attività che riapriranno scaglionati, e flussi di persone che probabilmente verranno divisi per età potranno ricominciare a circolare. Ma rimarrà comunque una certa attenzione per gli assembramenti.
Cinema, concerti, università
È chiaro che riapriranno tutte le attività che sono state obbligate a fermarsi, ma come? Torneremo al cinema a goderci l’ultimo film in uscita, ma con delle limitazioni nel numero di persone. «Credo che i cinema accetteranno per un periodo metà delle persone della loro capienza massima, ma il ritorno alla normalità sarà sancito quando saremo nuovamente ai concerti». Eventi di questo genere richiederanno situazioni di prevenzione decretate dal Sistema sanitario nazionale, o da esperti che stabiliranno delle regole a cui dovremo attenerci, e parallelamente le strutture dovranno essere pronte a un eventuale nuova emergenza, secondo Ferraresi. «Mi immagino ospedali o parti di essi che saranno attrezzati per poter fronteggiare una nuova ondata, con reparti di terapia intensiva pronti all’evenienza».
Per tornare ai concerti, ai festival o allo stadio (in ogni caso eventi che possono riunire migliaia di persone), è probabile che verrano presi dei provvedimenti specifici: i posti potrebbero essere assegnati, il numero di persone sicuramente limitato rispetto al pre-coronavirus, ma lo stesso «comportamento» dei partecipanti potrebbe essere ridimensionato, richiedendo atteggiamenti meno esuberanti. «I concerti avranno una barriera all’entrata, mi immagino – aggiunge il docente della Iulm – e magari potrà essere richiesto di compilare delle autocertificazioni relative allo stato di salute del partecipante».
Il tracciamento degli spostamenti
«Si potrebbe estendere il tracciamento tramite app di cui si parla tanto nelle ultime settimane, e si potrebbe richiedere in queste situazioni di massa». Lo scopo? Capire il rischio di una persona che deve partecipare all’evento, per poter valutare il da farsi. Sul biglietto acquistato, per esempio, potrebbe comparire la dicitura «L’organizzazione si riserva di negare l’entrata a chi ha avuto comportamenti a rischio riguardo al virus o sintomi pericolosi».
Scuola, esami, università
E per le lezioni (e gli esami) all’università? Sono tristemente note le immagini di studenti seduti per terra o sulle scale perché le aule sono troppo colme per accogliere tutti, ma dovranno necessariamente diventare solo ricordi. Per Ferrarsi l’università dovrà riorganizzarsi, e contemplare il numero chiuso anche per le persone che vogliono seguire la lezione in aula. A tutti gli altri sarà garantita la possibilità di ascoltare da casa, o da altre aule nell’edificio, e di interagire con il docente tramite dei moduli per inviare domande e osservazioni.
Per gli esami, invece? Probabilmente i singoli appelli verranno spalmati su più date, e resi in forma orale per quanto possibile, e non scritti, per evitare grandi assembramenti nella stessa aula e creando delle vere e proprie finestre temporali in cui ciascuno potrà discutere con il docente per sostenere l’esame.
Metro, aerei e treni
Dovremo, poi, riabituarci a prendere la metro, o i treni, ma la cosa principale è che dovrà cambiare il modo in cui ci si approccerà a una vecchia abitudine consolidata. Stazioni della metro e ferroviarie hanno delle barriere, e quindi è presumibile che verranno applicati dei controlli di qualche tipo ai viaggiatori, proprio come potrà accadere per chi si recherà in aeroporto (e come accade già). I mezzi di trasporto verranno probabilmente sanificati dopo ogni corsa, o quantomeno alla fine del turno, e verranno incentivate una serie di norme per il corretto comportamento.
In ascensore. O meglio a piedi?
Lo stesso potrà valere anche per gli ascensori: verranno sanificati più frequentemente, e le persone saranno invitate a usarlo in modo da evitare contatti ravvicinati; magari si prenderà l’abitudine – ove sia possibile – di andare a piedi, per non sostare in un ambiente chiuso e ristretto insieme ad altre persone.
Potrà cambiare anche la «rush hour», l’ora di punta dei mezzi pubblici: secondo Ferraresi dovranno essere costruite delle lunghe file ordinate, un po’ come accade ora quando si va a fare la spesa al supermercato, per evitare gli assembramenti che erano tipici delle 8 del mattino o delle serate nel weekend. «Ci sarà quella che potremmo definire, coniando un neologismo, “finestrizzazione sociale” – conclude il docente – Dovremo cioè abituarci a convivere con finestre di tempo e turni, che scandiranno le attività quotidiane, come il lavoro o le lezioni, per permettere a tutti di vivere, lavorare e divertirsi in sicurezza». (Corriere della Sera)